REDDITO DI CITTADINANZA: FIL ROUGE COL MICROCREDITO

Reddito di inclusione e Reddito di cittadinanza: chi è il più bello del Reame? Riflessioni sul grado zero della politica economica

La questione del reddito di cittadinanza occupa tre piani di riflessione: di natura etica, fiscale, economica.

Sul piano etico, si impone il dilemma tra la necessità di rispondere alle urgenze di chi versa in stato di difficoltà e quella di non dare vita a generazioni di cartoneros, alimentando una cultura del “non lavoro”. I vincoli di bilancio, richiedono una razionalizzazione delle risorse, che devono trovare copertura nel perimetro della spesa pubblica e risultare compliant con il fiscal compact. Nella prospettiva economica, la questione impone una sintonia tra le politiche di inclusione e quelle di job creation.

Il “grado zero” della politica economica

Se nel dibattito politico attuale l’argomento è tra i più frequentati, la spiegazione va cercata nel fallimento delle politiche di crescita – pre e post crisi – che non hanno saputo contrastare l’aumento del tasso di povertà, assoluta e relativa, e l’esclusione finanziaria e sociale.

Il sostegno al reddito dei soggetti più fragili rappresenta, oggi, un dovere morale delle forze politiche e, al tempo stesso, il “grado zero della politica economica”, costretta ad invertire la classica relazione “lavoro-inclusione” nella nuova ricetta post-ideologica “inclusione-lavoro”.

Poiché ogni azione di politica economica – anche quella che dovesse risultare virtuosa – richiede tempi medio-lunghi per produrre effetti sull’economia reale, è apparso necessario approntare misure di emergenza: è questo il segno che ha ispirato il reddito di inclusione (REI) operativo dal 1° gennaio 2018 [http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/poverta-ed-esclusione-sociale/focus-on/Reddito-di-Inclusione-ReI/Pagine/default.aspx].

La proposta del reddito di cittadinanza [https://www.money.it/reddito-cittadinanza-Movimento-5-Stelle] prevede un’estensione del perimetro del REI – in termini di beneficiari e di importo medio corrisposto – che appare sostenuto dai numeri della povertà assoluta e relativa nel nostro Paese e dalla crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, come confermato anche da un recente studio della Banca d’Italia [http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/20180428/index.html?com.dotmarketing.htmlpage.language=102&pk_campaign=EmailAlertBdi&pk_kwd=it].

E’ possibile, dunque, dare vita al reddito di cittadinanza (REC) gestendo i temi etici, fiscali ed economici che ne conseguirebbero? Una risposta positiva poggia su tre condizioni ineludibili: sul piano etico, è necessario rafforzare il nesso tra misura di emergenza e politiche di inclusione; sul piano fiscale, occorre razionalizzare l’uso delle risorse pubbliche, valorizzando quanto già stanziato per il REI e per le politiche attive di microcredito; sul piano economico, è necessario ottimizzare l’impatto occupazionale.

Il “grado uno” della finanza d’impatto

Le soluzioni operative alle questioni poste si rintracciano nella new age della finanza ad impatto sociale, portata agli onori della cronaca dai lavori della Social Impact Investment Task Force costituita in ambito G8, cui l’Italia ha partecipato attivamente ma di cui, ancora oggi, stenta a fare tesoro.

L’etica impone che l’intervento volto a coprire i bisogni primari delle persone in difficoltà non si risolva in un sussidio strutturale, ma sia concepito come uno strumento-ponte verso l’inclusione sociale e finanziaria. In tale ottica, la soluzione proposta dal REI appare un’occasione persa ed un relativo dispendio di risorse. Seppure il REI preveda una linea dedicata ai servizi alla persona volti a sostenere l’inclusione del beneficiario, emergono almeno due elementi di debolezza: (i) la definizione di un progetto personalizzato da parte dei soggetti richiedenti il sussidio è fondamentalmente ancorato ad una attività di autonoma “ricerca attiva del lavoro” che, nei fatti, rischia di essere demandata all’iniziativa personale del beneficiario, secondo consolidati schemi di sostegno a matrice sociale, più che microimprenditoriale; ciò appare confermato dalla natura stessa dei servizi sociali previsti; (ii) tale linea di intervento è a valere su una rete territoriale (Comuni, Agenzie per le politiche attive  -Anpal – Centri per l’impiego, Agenzie di formazione) che necessita di specifica formazione, apposito coordinamento, e risulta, ad oggi, sottodimensionata, in un work in progress che produrrà gli auspicati effetti solo nel medio periodo. Per tale linea di intervento, peraltro, sono stati già stanziati circa 1,1 miliardi di euro (297 milioni per il 2018, 347 per il 2019, e 470 milioni per il 2020).

Il REC, invece, potrebbe fare leva sulla rete già attiva degli sportelli del microcredito, sul suo personale, e sui 200 tutor del microcredito iscritti nell’elenco gestito dall’’Ente Nazionale per il Microcredito (ENM). L’ENM ha implementato in questi anni, e coordina attualmente, 171 sportelli distribuiti su tutto il territorio nazionale che offrono consulenza sull’autoimpiego e sulla microfinanza e svolgono attività di informazione ed assistenza a cittadini e micro imprese sulle opportunità di finanziamento a livello centrale e locale, sia sotto forma di incentivi pubblici, sia di strumenti microcreditizi.  Dei 170 sportelli, 70 offrono anche una specifica assistenza per l’accesso ai benefici della misura SELFIEmployment di Garanzia Giovani

[http://www.microcredito.gov.it/images/selemploy/ElencoSportelli_RetemicrocreditoAgosto.pdf].

Ogni sportello è presidiato almeno da 2 persone, tutte dipendenti delle Amministrazioni ospitanti (Centri per l’impiego, Comuni, Camere di commercio e Università), formate dall’ENM, e che hanno già maturato un’esperienza da valorizzare.

Fare leva – potenziandola – sulla “Retemicrocredito” e sui tutor iscritti all’Elenco gestito dall’ENM richiede, in primo luogo, di indirizzare in tal senso il “Piano Nazionale per gli Interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà”, ed a cascata quelli regionali ancora da formulare, previsti dal REI; una direzione, questa, utile a rafforzare il nesso tra misura di sostegno all’indigenza ed inclusione sociale e finanziaria, affiancando “ex ante” il beneficiario del sussidio nella definizione di un progetto microimprenditoriale ad hoc, e garantendo maggiore immediatezza e certezza di impatto inclusivo e di inserimento nel mondo del lavoro.

In un’ottica di politica fiscale, l’utilizzo della “Retemicrocredito” può rappresentare anche una via per razionalizzare l’uso del miliardo di euro già stanziato, consegnando al REC spazi di manovra alternativi, utili per estendere il perimetro attuale di beneficiari.

Sempre ai fini di un più razionale uso delle risorse pubbliche, peraltro, il REC potrebbe attivare, a valle del percorso di inclusione, forme di partenariato pubblico-privato, secondo le tipiche architetture dell’impact investing, volte a finanziare progetti di microimprenditorialità. Il coinvolgimento di partner privati deve interessare, in primo luogo, le Fondazioni Bancarie che hanno la vocazione ad iniziative territoriali a matrice inclusiva – e le banche, sempre più attente alla finanza ad impatto, come recentemente dichiarato dai due CEO di Intesa San Paolo ed Unicredit, e come già testimoniato dall’attività delle banche di credito cooperativo. Un contributo decisivo deve giungere, poi, dagli enti del terzo settore, battezzati dalla nuova riforma che ne ha rivitalizzato caratteri e funzioni: a loro il compito di intercettare le esigenze su base territoriale e di costruire percorsi di inclusione volti alla job creation che affranchino la misura da una forma di sussidio sine die.

In un’ottica economica, per alimentare una crescita sostenibile, il REC deve proporre, rispetto al REI, un più intimo legame con le politiche microcreditizie. Secondo i dati dell’ENM, il microcredito sviluppa un moltiplicatore di job creation pari a 2,43: ogni microcredito genera, in media, più di due posti di lavoro [http://www.microcredito.gov.it/].

In quest’ottica, il REI è, ancora una volta, un’occasione persa: fosse stato concepito in continuità con il microcredito, avrebbe potuto generare un impatto occupazionale non trascurabile. I dati del 1° rapporto sul REI presentato il 28 marzo [http://www.redditoinclusione.it/primi-dati-osservatorio-inps-su-rei/] indicano in 110 mila il numero di nuclei familiari beneficiari del REI nel primo trimestre 2018. Assumendo, prudenzialmente, che anche solo il 50% di tali soggetti avrebbe avuto accesso al microcredito, si sarebbero create comunque opportunità lavorative per 133.650 individui; dato che, su base annua, si traduce in poco più di mezzo milione di nuovi occupati.

D’altronde, il nostro legislatore ha previsto una forma di “microcredito sociale” quale anticamera del microcredito imprenditoriale (art. 111 del T.U.B.). Nel nostro sistema, quindi, il microcredito già concepisce una progressiva capacità di inserimento attivo del beneficiario: prima di intraprendere un’iniziativa lavorativa, quest’ultimo deve essere sostenuto sui bisogni primari; ripagherà il debito a valere sul microcredito di secondo livello, quello microimprenditoriale.  Il REC dovrebbe essere concepito in un’ottica di file rouge con il microcredito, rappresentando quella misura d’urgenza che traghetti – con una progettualità definita sin dall’inizio – il beneficiario verso il microcredito sociale e, a seguire, il microcredito per la microimprenditorialità.

Un dato che non lascia alternative ad un legislatore lungimirante che dovrà trovare spazio per concretizzare un fil rouge virtuoso: reddito di cittadinanza  microcredito sociale microcredito imprenditoriale, consegnando all’Italia un quadro di finanza inclusiva, solidale e, al tempo stesso, sostenibile.

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