Mario La Torre è ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università La Sapienza di Roma. Estensore della legge sul tax credit al settore del cinema e membro dell’Audiovisual Working Party del Consiglio dell’UE in qualità di rappresentante MIBACT, di recente ha inaugurato con grande successo il blog “Good in Finance“, dove racconta il volto buono della finanza e l’eterna lotta con il suo lato oscuro, rivolgendosi non solo a esperti di settore, ma anche a chi cerca solamente chiarezza o vorrebbe meglio comprendere i fatti di questo settore. OFF lo ha incontrato…
Mario, innanzitutto puoi spiegarci cos’è il tax credit.
Il credito d’imposta è un beneficio fiscale che consiste nella possibilità di compensare i debiti verso il fisco con crediti maturati grazie a specifiche agevolazioni; nel caso del cinema, dal 2009, è in vigore una legge che consente alle produzioni cinematografiche di usufruire di agevolazioni fiscali a valere su investimenti in opere cinematografiche. Questo meccanismo è stato recentemente esteso a tutte le opere audiovisive, quindi anche alle serie TV ed alle web series.
Cinema e finanza hanno un rapporto di amore e odio: ci sono novità rispetto alle misure messe in atto per aiutare il mercato?
La recente legge di riforma del cinema, cosiddetta Legge Franceschini, ha rivisitato i meccanismi del tax credit, alla luce dell’esperienza di questi anni, 7 anni di utilizzo di esperienza, ed ha introdotto nuove misure per agevolare l’indipendenza finanziaria delle imprese del settore dai contributi pubblici. In particolare, è importante ricordare alcune previsioni che, pur non essendo al centro del dibattito, rappresentano importanti novità sotto l’aspetto finanziario: mi riferisco alla nuova “sezione audiovisivo” istituita presso il Fondo Centrale di Garanzia per le pmi, alla possibilità di cessione dei crediti d’imposta, alla possibilità di usufruire del credito d’imposta a valere su portafogli di prodotto, secondo il modello delle SOFICA francesi. La prima misura consentirà un più agevole accesso delle imprese audiovisive ai finanziamenti bancari, le altre due previsioni faciliteranno una gestione più professionale del credito d’imposta.
In molti hanno sollevato dubbi sulla correttezza con cui imprese ed investitori hanno utilizzato il credito d’imposta: credi che questa esperienza sia stata negativa ed abbia aiutato i soliti “furbetti”?
Io credo fortemente che il credito d’imposta per l’audiovisivo sia un’esperienza positiva perché ha aiutato le imprese del settore a sopravvivere in anni di continui e ripetuti tagli ai contributi pubblici, ed ha contribuito ad un innalzamento del livello di professionalità delle imprese. La possibilità che ci siano stati casi residuali di utilizzi scorretti dei benefici fiscali non può far cambiare giudizio sull’impatto complessivo della norma, e non deve far cambiare rotta ai policy makers che, al contrario, devono continuare su questa direzione di emancipazione finanziaria del settore. Con gli opportuni accorgimenti, alla luce delle esperienze distorsive, dobbiamo continuare a promuovere il cinema italiano e l’Italia quale meta per le produzioni straniere. Un film come Ben Hur, a fronte di circa 14 milioni di credito d’imposta ricevuto, ha speso in Italia quasi 60 milioni di euro: vogliamo rinunciarci?
Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di web-serie: in Italia c’è una legge o degli aiuti a sostegno dei giovani film-makers che lavorano sul web?
L’Italia è stata, dopo la Francia, il secondo Paese in Europa ad estendere le agevolazioni pubbliche alle web series, nel segno di un’attenzione intelligente del nostro legislatore verso le nuove forme di creatività, ormai di moda anche tra le produzioni audiovisive più affermate. Credo sia un segnale giusto che va confermato dai decreti di attuazione della Legge Franceschini, a cominciare da quelli riferiti al credito d’imposta.
Da qualche giorno è online il tuo blog “Good In Finance”, dove spieghi e racconti le notizie “buone” e “cattive” dal mondo finanziario. Potresti svelarci qualche verità e qualche bugia dette sulla crisi economica?
Verità e bugie sono sotto gli occhi di tutti; dobbiamo solo prestare attenzione ed osservare i fatti con autonomia di giudizio critico, evitando di inseguire il “già detto”, ma anche senza dover essere a tutti i costi controtendenza. E’ un equilibrio difficile da trovare, come difficile, ad esempio, è l’equilibrio tra una vigilanza bancaria che dovrebbe essere attenta alla stabilità degli intermediari da un lato, e all’inclusione finanziaria dall’altro; ecco una semplice verità: non è sempre vero che il famoso meccanismo del “bail in”, tendente a far ricadere le perdite bancarie solo sugli investitori e risparmiatori della banca in crisi, minimizzi i danni per la collettività. Quanto accaduto per le 4 banche italiane, per prime sottoposte ai nuovi meccanismi di risoluzione, ne è prova evidente. Le autorità bancarie e la Commissione Europea dovrebbero prestare maggiore attenzione alle ricadute sistemiche – anche di natura sociale – dei provvedimenti dedicati al settore del credito. Un occhio alla Social Agenda promossa dalla Commissione non farebbe male, anche quando si parla di salvataggi bancari.
Un anno fa tutti parlavano di “social bond”. Ora sembra che in Italia non li nomini più nessuno. Perché questo cambiamento di tendenza?
E’ vero, anche se, di tanto in tanto, registriamo qualche tentativo di riproporre il tema e qualche segnale di attenzione da parte di alcuni policy makers. Tuttavia, da quando come Task Force G8 sugli Investimenti ad Impatto Sociale abbiamo consegnato al Governo un decalogo per la promozione dei social investments, in Italia ancora nulla di fatto è avvenuto. Io stesso ho avuto modo di parlarne, sia nella conferenza interparlamentare tenutasi a Roma sotto la nostra Presidenza UE, sia in un’audizione presso il Parlamento Europeo. Eppure, gli investimenti ad impatto sociale avrebbero certamente aiutato il Ministro Padoan nella definizione della legge di bilancio, così come hanno aiutato l’amministrazione Obama e quella Cameron, fortemente impegnate in politiche innovative nel welfare.
Un altro ambito su cui puoi farci luce è sicuramente il Microcredito. A che punto siamo in Italia?
L’Italia è tra i Paesi europei più avanzati in materia di microcredito; ma fatta la legge, va fatto il mercato. L’Ente Nazionale per il Microcredito sta facendo la sua parte e, da poco insignito del compito di tenuta dell’elenco degli operatori in servizi ausiliari e di monitoraggio, ha promosso numerose iniziative e partenariati con numerose banche. Tuttavia, occorre trovare formule che consentano lo sviluppo e la crescita degli Operatori di Microcredito, favorendone la capitalizzazione ed i canali di funding. Di questo, ad esempio, si discuterà il 4 maggio in un convegno promosso dalla Fondazione Sapienza.
Sei docente presso l’Universitá la Sapienza di Roma; visto che in Italia i giovani sono spesso definiti “bamboccioni”, quali sono le domande che maggiormente i tuoi studenti ti rivolgono? In questi anni, hai notato dei cambiamenti nei modi di ragionare dei ragazzi che frequentano i tuoi corsi?
Il cambiamento maggiore è che sono più io a fare domande a loro, che loro a me; voglio dire con questo che mi pare scaduto il sentimento generale di curiosità intellettuale. I ragazzi sono, per lo più, senza passione, ed è compito nostro fare in modo che questo cortocircuito si interrompa; dobbiamo alimentare in loro le passioni, anche avvicinandoci alle loro forme di comunicazione, provando a mantenere contenuti elitari: l’idea del blog nasce anche da qui.
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Link Intervista: http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2017/04/15/intervistaamariolatorre/