Sono 5 milioni gli italiani in povertà assoluta, a rilevare questa allarmante situazione sono i recenti dati Istat. Il fenomeno è aumentato negli ultimi anni: il contesto macro economico, la disoccupazione e le tasse esorbitanti hanno portato al quadro attuale. Come combattere la povertà?
Non sono entusiasmanti i dati diffusi dall’Istat, in grande aumento i numeri relativi alla povertà nel Paese, risultato della crisi economica che ha investito l’Italia, ma anche del fallimento delle politiche economico-sociali degli ultimi anni. Il fenomeno riguarderebbe 5 milioni di persone e circa 1,8 milioni di famiglie.
Quali sono le fasce più colpite dalla povertà? Quali gli strumenti necessari per lottare contro la povertà assoluta e per rilanciare l’economia del Paese? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Mario La Torre, professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la facoltà di economia dell’Università La Sapienza, membro del cda dell’Ente nazionale italiano del microcredito, membro della task force G7 sugli investimenti ad impatto sociale.
— Secondo gli ultimi dati Istat in Italia è aumentata la povertà assoluta. Professore La Torre, quali sono le maggiori cause che hanno portato a questa situazione?
— Sono diversi fattori. Il contesto macro economico generale ha influito, ha pesato in particolare su alcune fasce di popolazione. Se si analizzano più in dettaglio i dati sia della povertà assoluta sia di quella relativa si vede come ci sia una localizzazione molto precisa al centro sud e come la povertà abbia colpito determinati nuclei famigliari. Le famiglie più danneggiate sono state quelle con i bassi redditi, con un solo membro della famiglia con un’occupazione.
La crisi generale ha portato da un lato ad una riduzione delle opportunità lavorative, dall’altro si incominciano a sentire gli effetti del ricorso al risparmio che gli italiani hanno fatto durante tutti questi anni, ma che adesso si sta esaurendo.
— Quali sono le fasce di popolazione più colpite? Si tratta dei giovani che non riescono a trovare un lavoro?
— I giovani senz’altro, perché vi è una grande difficoltà nel primo accesso al mondo del lavoro. Le nuove generazioni comunque devono iniziare a pensare ad un mercato più globale. Il tema è ancora più complicato quando la disoccupazione giunge in fasce di età più avanzate, questo dato è molto aumentato negli ultimi anni. Attorno ai 45-50 anni è molto difficile trovare una nuova collocazione, perché ci sono particolari esigenze famigliari oppure problemi con la conoscenza delle lingue. In Italia si sono prese delle misure a riguardo, come per esempio l’azione riguardanti il microcredito, cioè un aiuto per mettere su un’attiva in proprio.
— I due partiti che probabilmente formeranno il governo puntano su diverse soluzioni nei loro programmi. Il cavallo di battaglia dei 5 stelle è il reddito di cittadinanza, la Lega propone di abbassare le tasse per creare più posti di lavoro. A suo avviso queste due proposte possono essere fattibili e efficaci?
— Ho scritto recentemente sul mio blog Good in Finance un articolo in cui facevo una proposta di applicazione del reddito di cittadinanza, però parlavo di un’applicazione sostenibile. Oggi se pensiamo ai sussidi è perché vi è stato un fallimento della politica economica ultratrentennale. Di fronte a questo fallimento la politica ha un’urgenza morale di agire nell’immediato. L’idea di concepire uno strumento che vada incontro alle persone in difficoltà nell’immediato è anche corretta, bisogna evitare che diventi un sussidio strutturale e che si crei la cultura del “non lavoro”. La mia proposta era di legare il reddito di cittadinanza e il microcredito.
Il reddito di cittadinanza deve essere il primo passaggio che traghetti le persone verso un’attività micro imprenditoriale. L’ente nazionale del microcredito ha calcolato che con il microcredito con 20 mila euro si sviluppano 2 posti di lavoro e mezzo. Secondo il mio articolo si arriverebbe a 500 mila occupati all’anno nuovi se si traghettassero verso il microcredito e un’attività imprenditoriale.
Sono abbastanza convinto che ci debba essere uno shock fiscale per quello che è il contesto europeo. All’interno dell’Europa abbiamo situazioni assolutamente diverse e insostenibili: un’impresa a Malta riesce a pagare anche soltanto il 5% di tasse, noi abbiamo un peso fiscale molto più elevato. All’interno dell’Unione Europea non possono sussistere situazioni di questo tipo. L’Italia deve reagire in qualche modo. La proposta del centrodestra di una flat tax è a mio avviso provocatoria, può essere anche presa in considerazione, però da un alto l’aliquota era molto bassa e creava problemi di sostenibilità. Dall’altro lato credo ci sia bisogno di semplificare, ma un’aliquota unica potrebbe avere effetti distorsivi in termini di distribuzione della ricchezza.
— Un conto sono le misure adottate in situazioni di emergenza, il problema della povertà relativa è un’altra storia. Quando si tratta di misure strutturali quale sarebbe la strategia per rilanciare il Paese e la sua economia? Il problema centrale è il lavoro?
— Penso che l’Italia dovrebbe fare tesoro delle indicazioni della task force G7 sugli investimenti ad impatto sociale, di cui sono stato membro. Alla fine del lavoro abbiamo realizzato un rapporto con indicazioni precise per i governi internazionali e in particolare per il governo italiano.

Gli investimenti ad impatto sociale sono basati sul partenariato privato-pubblico e stimolano l’inclusione sociale, però con un’architettura finanziaria che consenta allo Stato di essere compatibile con le regole del fiscal compact vigenti in Europa. È un modo importante per fare delle operazioni strutturali sul sociale e sul welfare senza andare a compromettere i conti pubblici, questo per l’Italia sarebbe un’azione importantissima, perché il nostro Paese ha un debito pubblico molto elevato, che è un vincolo per qualsiasi tipo di stimolo della spesa pubblica.
Bisogna quindi trovare delle alternative di politica economica, perché la coperta è corta: se aumento la spesa, aumenta il debito pubblico, se restringo la spesa non vado ad aumentare la crescita. Servono quindi politiche economiche che siano in grado di stimolare una crescita sostenibile. La new age della finanza ad impatto sociale è la ricetta giusta. Ci sono già dei movimenti in questo senso nel settore privato, delle banche si sono attivate in questo senso, ora è auspicabile che anche il governo faccia un primo passo per sviluppare una politica economia innovativa e di crescita sostenibile.
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Link Intervista: https://it.sputniknews.com/opinioni/201805136001808-ITALIA-COME-COMBATTERE-LA-POVERTA/