In agosto, sono cambiati il nome del Ministero degli Esteri (che ora è anche “della Cooperazione”) e la legge sulla Cooperazione. Si è discusso e si continua a discutere sull’utilità e sulla necessità dell’introduzione del settore privato nel mondo della Cooperazione. Intanto, dal 6 luglio 2013, una task force istituita in ambito G8, si occupa di studiare e di far crescere una forma di finanza innovativa, rappresentata dagli Investimenti a Impatto Sociale (Sll). Dal lavoro di Italia, UK, USA, Germania, Francia, Giappone e Canada emergono importanti indicazioni e specifiche raccomandazioni ai governi. Analizzando il rapporto, ne emerge un quadro importante per la crescente nouvelle vague della finanza sociale. Mario La Torre (Ordinario di Economia presso La Sapienza e membro governativo della SII task force, insieme con Mario Calderini) e Giovanna Melandri (presidente dell’Advisory Board italiano della task force) spiegano origine, percorso e risultati della compagine.
Cosa sono i SII e i loro vantaggi . Per Investimenti a Impatto Sociale (SII) si intende una gamma di investimenti basati sull’assunto che i capitali privati possano intenzionalmente contribuire a creare, in alcuni casi assieme a fondi pubblici, impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici. La capacità dell’economia di gestire i propri stessi mutamenti, con una progressiva pianificazione del lavoro, con la qualei l’investitore persegue lo scopo sociale, assieme al ritorno economico, caratterizza questa nuova generazione di investimenti. “Il meccanismo dei Social Impact Investments (SII) – spiega Mario La Torre, membro governativo della task force – si fonda su una forma di cooperazione tra pubblico e privato. Rispetto alla finanza tradizionale, questa collaborazione porta con sé due vantaggi: quello di mirare non ad una semplice crescita, ma piuttosto a una crescita sostenibile e a chiamare lo Stato a remunerare gli investitori privati, solo in caso di raggiungimento dell’obiettivo sociale”.
Gli strumenti concreti dei SII. I principali strumenti finanziari che traducono in atti empirici la filosofia dei SII sono il Microcredito e i Social Impact Bond (o SIB), grazie ai quali enti privati forniscono il capitale iniziale per progetti sociali in settori quali l’educazione, la sanità, la giustizia (come nel caso di progetti volti al reinserimento dei carcerati nel tessuto sociale); la remunerazione dell’investitore, da parte dello Stato o degli enti pubblici promotori, avviene solo se i programmi raggiungono gli obiettivi sociali prefissati. Nella Cooperazione internazionale lo schema dei SIB ha dato vita ai cosiddetti Social development bond (SDB).
Le spese sociali in Italia: poche e in calo. In Italia, l’esistenza di un gap tra spesa pubblica necessaria e spesa pubblica sostenibile per l’intero settore, secondo gli studi fatti nel Rapporto sui SSI, sembra essere una condizione che, in prospettiva, tende ad acuirsi e, secondo una possibile stima, per il periodo 2014-2020 potrà essere di circa 150 miliardi di euro.
Sanità, famiglia, istruzione e cultura, dove lo Stato non investe. Per citare solo alcuni ambiti di welfare bisognosi di risorse, sanità, invalidità, sostegno alle famiglie, gestioni abitative ed esclusione sociale costituiscono, oggi, appena il 20,85% del totale delle uscite correnti, per un ammontare di 165 miliardi. Le uscite correnti per l’istruzione sono, poi, solo l’8,5% del totale, per un valore di 65 miliardi di euro, e la spesa pubblica per la cultura rappresenta appena lo 0,7% delle uscite, pari a circa 6 miliardi di euro.
Necessario un solido sistema dei SII. L’Ocse denuncia che l’Italia sarà uno dei pochi paesi in Europa a non vedere la luce di una crescita economica. Al di là dello scarso sconcerto della nostra politica rispetto a questa notizia, esiste, e dovrebbe parlarsene di più, un modo alternativo, tramite i SII, di pensare e guardare a una sia pur minima possibilità di riscatto del nostro paese: “In Italia esiste uno spazio economico per il mercato dei SII – continua La Torre – e, una iniezione di risorse tramite l’impact investing, non solo consentirebbe di minimizzare gli effetti dei vincoli alla spesa pubblica, ma consentirebbe inoltre, ad alcuni settori, di trovare nuova linfa”. Dunque, se UK (sin dal 2000), USA, Australia e Canada sono, per esperienze e per diffusione del fenomeno, i paesi all’avanguardia nella finanza ad impatto sociale, l’Italia non è e non deve essere da meno.
Il lavoro dei Governi. Alla luce degli studi e del rapporto sulla task force, appare evidente quanto sia necessario l’impegno dei singoli governi per far crescere non solo l’educazione, ma la vera circolazione di una nuova e progressiva forma di economia capace di far fronte a una crisi tanto violenta come quella attuale. “Dal nostro lavoro emerge come, al fine di stimolare il mercato dei SII, i governi debbano svolgere un triplice ruolo:
1) – Quello di Market Steward, volto a facilitare l’attrazione di capitali creando un ambiente regolamentare e fiscale favorevole ai SII;
2) – Quello di Market Participant, definendo i settori di intervento, le risorse pubbliche come leva per i capitali privati, le società pubbliche da utilizzare come bracci operativi;
3) – Quello di Market Builder, volto a creare una governance che definisca le competenze della finanza etica, sia per aree di intervento che per competenze territoriali. Ad esempio, negli USA – dove ancora non sappiamo quanto la loro esperienza possa essere da esempio – è stato identificato un Office of Social Innovation and Civic Participation e sono stati chiamati in staff al Presidente Obama due esperti di settore; in UK – dove anche qui vale la stessa annotazione riferita agli Usa – è lo stesso Cabinet Office di Cameron ad avere il compito di regia dell’Impact Investing”.
Il ruolo chiave degli intermediari finanziari. C’è, poi, l’aspetto concreto di chi lavora per far circolare e crescere i SII: “Il ruolo degli intermediari finanziari – dice ancora il professor La Torre – è di estrema rilevanza per canalizzare le risorse private verso progetti di finanza d’impatto e a favore di imprese sociali, che rappresentano un anello importante di sviluppo e promozione dell’impact investing; è necessario, a tal fine, che vengano messe a punto regole volte a facilitare la crescita del settore. In primo luogo, devono essere approvati i regolamenti attuativi del microcredito, questo si tradurrebbe non solo nella nascita di intermediari specializzati, ma darebbe il via libera alla norma che prevede l’estensione del Fondo Centrale di Garanzia per le operazioni di microcredito: tale strumento ridurrebbe gli assorbimenti patrimoniali richiesti alle banche a fronte di specifici investimenti targabili come social impact; inoltre – conclude il docente – occorrerebbe rendere meno restrittivi i vincoli di investimento previsti per gli investitori istituzionali, come i fondi pensione e le imprese di assicurazione, che dimostrano interessate al settore, come testimoniano le iniziative di Prudential in USA, Axa in Francia e Zurich in Svizzera”.
Le istituzioni intergovernative e Italia. “Il rapporto rappresenta un movimento globale per affermare l’importanza di imprese e investimenti a impatto come nuova forza per lo sviluppo – dichiara Giovanna Melandri, presidente dell’Advisory Board italiano della task force – Un movimento che mobilita governi e istituzioni economiche e che si rivolge a investitori, fondazioni, fondi pensioni, fondi sovrani e manager. Si rivolge poi all’Onu, affinché nel processo di revisione degli obiettivi del Millennio, sostenga gli investimenti sociali come strumento innovativo e alle istituzioni intergovernative, come la Banca Mondiale e le banche di sviluppo regionale, affinché svolgano un ruolo di rilievo nel nuovo mercato dei Social e dei Development impact bond”.
Link Intervista: http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2014/09/22/news/rizzo-96391251/