In merito al dibattito che si sta ampliando, anche su questo “blog”, relativo alle sollecitazioni del CEO di BlackRock, Laurence Fink, circa l’invito rivolto al mondo bancario e finanziario a prestare maggiore attenzione alla social responsibility, un contributo importante può venire dal mondo delle circa 300 “banche cooperative di comunità” che, nel nostro Paese, sono rappresentate dalle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali. Sono espressione di quella finanza mutualistica che è per definizione “finanza ad impatto sociale”; banche che non hanno l’obiettivo di massimizzare il profitto, bensì di creare vantaggi per i soci e le comunità locali.
L’indicatore di impatto della finanza geo-circolare elaborato da Federcasse (la Federazione Nazionale delle BCC e Casse Rurali) a partire dal 2016, mostra come per ogni 100 euro di risparmio raccolto nel territorio – la raccolta complessiva delle BCC è di circa 192 miliardi – se ne impieghino in media 85. Di questi, almeno il 95% diventa credito all’economia reale di quello stesso territorio. Ne beneficiano lavoro e reddito. Non ci sono altre banche che possono vantare questo livello di valorizzazione del risparmio delle comunità, ponendosi, di fatto, come soggetti generativi di cambiamento, di autosviluppo e di sostenibilità sociale ed ambientale.
Le banche mutualistiche, in particolare, hanno saputo finanziare l’economia reale anche negli anni più duri della grande crisi (2007-2014). La funzione anticiclica delle BCC in condizioni di relativa sostenibilità è autorevolmente documentata da Autorità indipendenti. In sostanza, hanno dato più credito ad un prezzo più conveniente, con tassi di ingresso in sofferenza più bassi della concorrenza. Altri indicatori dimostrano che la banca di relazione, come è una banca cooperativa mutualistica di comunità, risulta meno rischiosa.
Potremmo dire, infine, che una BCC o Cassa Rurale, per essenza, mission ed organizzazione, sia una banca a triplo impatto (triple impact bank): culturale, economico, sociale. Culturale nel senso di rappresentare quella necessaria “biodiversità bancaria” che è una ricchezza per qualsiasi sistema finanziario complesso; economico, nel senso prima evidenziato di sostegno a famiglie e imprese (e non solo); sociale, in termini di partecipazione dei soci e delle comunità locali che, in quanto tali, sono essi stessi coinvolti nella gestione di una “istituzione” che è avvertita come bene comune. In ogni caso, essendo in grado di conoscere prima, e meglio, le esigenze dei territori e di proporre soluzioni adeguate nella logica dell’auto-aiuto propria del modello cooperativo.