Intervento di Mario La Torre alla Conferenza Interparlamentare – Roma, 29-30 Settembre 2014
La Sessione Unione Bancaria ed Economia Reale sarà introdotta da un indirizzo di saluto del vicepresidente del parlamento europeo OlliRehn e da 4 autorevoli relatori: Ignazio Visco – governatore della Banca d’Italia, Dario Scannapieco – vice presidente della Banca europea per gli investimenti, Nicolas Verron – senior fellow all’Istituto di ricerca economica Breugel e VisitingFellow al International Institute for Economics di Washington e Mario La Torre Prof. ordinario di Economia di Intermediari finanziari L’Università La Sapienza di Roma. Dopo le presentazione dei relatori apriremo il dibattito.
Relazione: inizio 56.44 – fine 1.09.34
Grazie onorevole presidente, grazie onorevoli membri dei parlamenti. E’ molto importante portare all’attenzione della discussione di oggi un tema come quello della finanza inclusiva che merita un’attenzione anche in ragione della forte e pronunciata dimensione sociale delle nuove politiche economiche al livello europeo. E’ quindi importante sia perché la finanza inclusiva, in particolare mi concentrerò sul microcredito, sulla finanza di impatto – possono essere degli istrumenti importanti per potenziare questa dimensione sociale delle politiche dell’unione, sia perché possono essere anche interpretati come strumenti operativi utili a delle soluzioni a quel “corto circuito” che abbiamo evocato più volte, sia ieri che oggi. Cioè la necessita di sviluppare gli investimenti da un lato e vincoli di fiscal compact dall’altro. E’ utile penso anche perché può essere favorevole portare un po’ di profumo di economia del benessere dell’economia della felicità.
Io amo molto di più gli economisti che per citare Buchanan, premio Nobel, definiva economisti d’immaginazione che gli economisti scientisti. Gli economisti d’immaginazione non sono quelli che fanno voli pindarici non realizzabili, ma semplicemente quelli che ricordano che le regole economiche sono delle convezioni stabilite dagli uomini, non delle leggi di natura irrevocabili.
Cercherò quindi di spiegare come microcredito e finanza d’impatto possono essere funzionali a questi tre obiettivi partendo da una costatazione molto semplice: il microcredito è un credito di piccolo importo rivolto a soggetti esclusi finanziariamente o socialmente e dunque come tale esplica la sua funzione sul mercato del credito. Esplica la sua funzione sul mercato del credito in assoluto e ha maggior ragione quando le fasi restrittive, a punto, connotano una restrizione del credito. Ma c’è un elemento importante che collega il microcredito alla crescita che è un elemento di tipo qualitativo. Non c’è soltanto quindi il classico meccanismo di trasmissione finanziamento- produzione di reddito e occupazione. C’è il dato che questo finanziamento viene dedicato a persone che non sono raggiunte generalmente dai sistemi finanziari tradizionali – è dunque uno strumento che si candida non solo semplicemente a potenziare la crescita ma è uno strumento che si candida a potenziare una crescita sostenibile perché favorisce un’equa distribuzione della ricchezza e anche un’equa distribuzione delle opportunità di lavoro. Una recente indagine dell’ente nazionale del microcredito ha stimato in 2,43 un teorico moltiplicatore del job creation. Non è un numero eclatante ma è un numero importante per cominciare a discutere.
Poi c’è una dimensione che lega il microcredito alla crescita che è meno esplorata e meno nota. Un paio di settimane fa abbiamo presentato qui in parlamento il rapporto della Taskforce sugli investimenti a impatto sociale istituita in ambito di G7 di cui ho l’onore di essere membro italiano e che ha giustificato e testimoniato come la finanza di impatto possa essere uno strumento fondamentale a risolvere il cortocircuito tra promozione dei finanziamenti e vincolo di fiscal compact. Impact investing noi intendiamo quella finanza che sostiene investimenti ad impatto sociale, ad impatto ambientale ma che allo stesso tempo offre un ritorno economico agli investitori, cioè si forma su un partenariato pubblico-privato di cui beneficiano sia investitori privati ma soprattutto anche lo stato dei governi. Per quale motivo? Perché il rendimento che viene offerto agli investitori privati che finanziano i progetti è parametrato a raggiungimento degli obiettivi sociali. In questo modo lo stato promuove investimenti, soprattutto nelle aree del welfare, ma non ha esborsi di cassa e da un punto di vista economico il rendimento che offre agli investitori privati va valere sul risparmio di spesa pubblica che viene realizzato con il raggiungimento del obbiettivo sociale. Dunque il microcredito è uno strumento che può essere utilizzato all’interno delle architetture della finanza d’impatto e quindi al tempo stesso assume anche una dimensione ulteriore rispetto a quella tradizionale sul mercato del credito, cioè una dimensione che consente anche di risolvere più facilmente questo corto circuito tra spinta e sostegno agli investimenti e vincoli di fiscal compact. Se questo è vero, e ci sono altri dati che non ho tempo di portare adesso alla vostra attenzione, forse vale la pena di riflettere su quali possano essere le azioni di policy che possono essere messe in piedi per sostenere il mercato del microcredito della finanza d’impatto e della finanza inclusiva in generale.
Io l’ho ristretta a tre livelli le azioni di tipo regolamentare, le azioni che riguardano gli strumenti e le azioni che riguardano la governance del mercato. In tutto, nel documento che ho reso disponibile troverete quindici azioni di policy distribuite su questi tre livelli – io, naturalmente, qui – posso proporre soltanto una sintesi. Dal punto di vista regolamentare la sintesi riguarda sostanzialmente la necessità di seguire quella che è stata la comunicazione della Commissione Europe del 2007, cioè quella di creare degli ambienti favorevoli al microcredito, ambienti regolamentari favorevoli al microcredito e pure ad oggi, in Europa soltanto Francia, Romania e Italia hanno una legge sul microcredito. Italia, peraltro sta ancora aspettando l’approvazione dei crediti di approvazione. E quindi, credo che il suggerimento della Commissione possa essere un suggerimento che vada ribadito dagli Stati Membro e credo che voi possiate accoglierlo e sviluppare vostre riflessioni nei vostri consessi nazionali. E’ anche vero che questo – il quadro regolamentare generale del microcredito deve essere portato avanti attraverso un processo di armonizzazione al livello europeo per cercare di assicurare un levelplain in field degli operatori anche nelle forme di accessoai fondi europei che sono dedicati a queste aree di mercato.
Un secondo elemento importante di tipo regolamentare è quello che riguarda la vigilanza prudenziale. Non entrerò nel dettaglio ma certamente qui, sia per quella vigilanza prudenziale che riguarda gli operatori di microcredito e le imprese sociali dedicate al microcredito, sia per gli obblighi di vigilanza di Basilea II poi III, che riguardano gli intermediari bancari e finanziari che volessero entrare in questi mercati, l’applicazione del principio del betregulation non è facile soluzione ma va certamente cercata.
E ancora un ultimo aspetto importante che riguarda le politiche fiscali. Quando si cerca di sviluppare di potenziare gli investimenti si fa sempre riferimento agli incentivi fiscali, questi si scontrano sempre ancora una volta con i vincoli di bilancio. Ecco la filosofia del impact investing può aiutare anche in questo senso. Occorre cioè ripensare la politica degli incentivi fiscali non legandola agli investimenti ma legandola al raggiungimento degli obiettivi. Si parlain questo caso di politica fiscale di tipo compensativo. In un ottica di raccomandazioni che riguardano gli strumenti operativi, ed evidentemente alla base di tutto c’è la necessità di catalizzare maggiori fondi per questi mercati,farei soltanto due riflessioni, una più classica ma altrettantonecessaria cioè quella di andare a potenziare i fondi di garanzia e soprattutto di utilizzare i fondi pubblici come leverage per gli investimenti privati – in questo senso l’Italia ha approvato una legge che ha esteso il fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni di microcredito, può essere quindi un modello anche al livello europeo – ma lasciatemi gettare un po’ il cuore anche oltre l’ostacolo, pensare a quello che può essere il ruolo del pubblico anche sul mercato di capitali.Perché non pensare ad esempio all’emissione di titoli pubblici a carattere etico, cioè titoli pubblici che abbiano come sottostante progetti di microcredito e progetti di investimento a impatto sociale. Questi stessi titoli pubblici potrebbero essere poi oggetto d’attenzione anche nelle operazioni della politica monetaria come titoli stanziabili o anche oggetto di acquisto rispetto i programmi futuri annunciati dalla banca centrale europea e potrebbero intercettare favorevolmente anche le idee e i progetti di cui si discute di Euro Union Bond.
Per concludere, qualche considerazione sulla governance di mercato. E’ chiaro che tutte queste azioni e altre ancora necessitano di una visione strategica ben definita. Le dimensioni degli operatori di microcredito e le dimensioni delle imprese sociali che operano nel impact investing sono dimensioni ridotte, quindi è necessario per aiutarle a catalizzare fondi cercare di istaurare dei processi di aggregazione. E’ necessario, a mio avviso, immaginareforme di incentivo ad aggregatori nazionali. Questiaggregatori nazionali potrebbero assumere la funzione di soggetto certificatore nazionale nella valutazione ex ante dei fondi europei che è un’attività prevista nel modo specificodalla programmazione di 2014-2020. D’altronde i modelli di aggregazione sono presenti giànel mercato del microcredito, cito ad esempio quelli dell’APEX nei paesi in via di sviluppo e quindi non bisogna andare a ricercare molto lontano nella storia. E’ anche vero che alcune previsioni recenti rispetto ad alcune funzioni che sono state assegnate all’Ente Nazionale per ilMicrocredito e alle recenti funzioni attribuite alla Cassa Depositi ePrestiti sono segnali, a mio avviso, in questa direzione.
E poi, una considerazione finale su quella che è il processo di vigilanza unico. Sembrerebbe strano associare questo tema al microcredito e finanza d’impatto ma effettivamente il tema si pone. E’ evidente che rispetto al parametro del rischio sistemico le operazioni e gli operatori di microcreditoe di finanza d’impatto saranno vigilati al livello nazionale. E qui si pone il tema di identificare nei singoli paesi l’authority più congeniale a questa attività. Ricordo che l’attività di vigilanza e di monitoraggio sul microcredito non è soltanto basata su parametri economico-finanziari ma anche su elementidi tipo qualitativo che generalmente non sono oggetto di attività delle autorità di vigilanza. E’ necessario poi un maggior coordinamento tra le autorità di vigilanza nazionali e maggior dialogo tra queste, ed ènecessario poi individuare quale – e questo è un tema che può essere messo all’attenzione già nel dibattito di questi mesi, visto che il governatore ci ha ricordato che da novembre il processo prenderà effettivamente il via – quale autorità al livello europeo evocherà sele competenze in materia di finanza inclusiva e di microcredito in particolare. Un’ultima suggestione riguarda il ruolo che i governi e gli stati membri possono avere. Nella Guide to Social Innovationdel 2013 la Commissione già delinea passo per passo che cosa dovrebbero fare i governi per assumere un ruolo di cabina di regia della finanza inclusiva.
Io voglio chiudere soltanto con una suggestione e cito con intenzione le parole di un filosofo proprio tedesco, un certo Martin Heideger, che di pensiero se ne intendeva, che diceva sostanzialmente che “la parte più intima della tecnica non ha nulla a che fare con la tecnica e che se la società si evolverà inseguendo la tecnica contempleremo la sua bellezza come si contempla la bellezza di un fossile”. Evitiamo che Europa assuma questo destino. Grazie.
risposta agli interventi dei parlamentari: inizio 2.18.53; fine 2.22.30
Per ultimo la parola al Prof. La Torre, prego.
Grazie, grazie anche per le osservazioni. Io intanto mi dichiaro chiaramente favorevole al processo di unione bancaria e della nuova architettura di vigilanza. Quello che preoccupa di più è quello che è il sottostante. Da molte delle vostre osservazioni emerge anche la stessa preoccupazione. C’è una regolamentazione di vigilanza che nel tempo è diventata molto complessa e a volte direi anche che si contradice, noi continuiamo a chiedere alle banche di erogare credito però poi imponiamo nuove regole di liquidità. E’ stato ricordato credo anche ieri che di fatto inducono le banche a investire in titoli di stato. E poi chiediamo alla politica monetaria di svolgere il ruolo della politica economica. E’ una regolamentazione molto complessa. Io mi occupo di cartolarizzazione dai tempi non sospetti, dall’inizio degli anni ’90, poi in Italia la legge è stata approvata nel 1999 e ricordo varie epoche, prima la cartolarizzazione non era conosciuta da nessuno, poi è diventata una moda, poi la cartolarizzazione è diventata la causa della crisi, adesso la cartolarizzazione è di nuovo sui banchie nelle discussioni di tutti i giorni come un ipotesi di soluzione. La verità è che anche le regole della cartolarizzazione sono molto complesse. Quando è stato introdotta la Supervisory Formula nelle regole di Basilea confesso che anche tutti gli accademici hanno avuto difficolta capire l’algoritmo e vi posso assicurare che gli operatori e gli esperti di cartolarizzazione non comprendevano la formula ma semplicemente la formula veniva applicata meccanicamente. E poi quando è venuta la crisi ci siamo resi conto che il problema della cartolarizzazione era un rischio di liquidità – una liquidity illussion che non è stata stimata. E ancora oggi è un tema fondamentale della cartolarizzazione deriva dal grande tasso di concentrazione degli operatori sia attivi che passivi, sia emittenti che investitori di quei titoli. Dunque c’è un tema di base che a mio avviso deve riportare a un’idea di semplificazione della vigilanza.
Tuttavia esiste un tema strutturale, cioè, a mio avviso, in ogni caso le banche, intermediari finanziari tradizionali, fisiologicamente non arriveranno mai a intercettare determinate fasce di clienti. I soggetti esclusi socialmente e finanziariamente esisteranno sempre con declinazioni diverse. E’ per questo che mi è piaciuto porre l’attenzione sulla necessità al tempo stesso di iniziare una strada parallela di potenziamento di una finanza inclusiva. E il tema strutturale non riguarda soltanto questo dato strutturale ma riguarda anche un dato strutturale di politica economica. Non possiamo continuare a chiedere alle banche di finanziare le imprese che portano avanti i progetti in settori maturi che non hanno più mercato e, ancora una volta, perché il ruolo degli investimenti a impatto sociale, a innovazione sociale, a innovazione ambientale può essere davvero un ruolo importante per una nuova politica economica. Mi auguro in questo senso che questi 300 miliardi di investimenti più volte invocati possano considerare anche questo aspetto. Grazie.