SE LA CRISI UCRAINA INNESTA LA RETROMARCIA ALLA FINANZA SOSTENIBILE

Milano Finanza
di Mario La Torre

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Da diversi anni l’Europa si sta proponendo come continente leader del processo di crescita sostenibile, cioè di una crescita economica rispettosa dei vincoli ambientali e degli equilibri sociali. Tale processo ha portato, nel 2020, all’adozione del noto Action Plan sul finanziamento della crescita sostenibile. A valle di tale Piano d’Azione, è stata sviluppata una tassonomia delle attività sostenibili da un punto di vista ambientale, ed è attualmente in fase di proposta una tassonomia delle attività socialmente sostenibili. L’obiettivo di orientare la finanza verso obiettivi di sostenibilità ha trovato ostacoli e resistenze da parte di diversi stakeholder portatori di interessi contrapposti, e fautori dello status quo. La mediazione è stata trovata nella prospettiva della transizione; il processo di canalizzazione delle risorse finanziarie verso investimenti ad impatto ambientale e sociale positivo deve avvenire gradualmente. Purtroppo, per alcuni, troppo gradualmente, nonostante l’urgenza planetaria di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2030, ed ancora entro il 2050. Un’urgenza vitale, che pone l’umanità tutta di fronte al dilemma vita-morte.

Gli stessi Paesi che, al termine dei lavori di COP 26 a Glasgow, hanno urlato vittoria per aver confermato gli obiettivi climatici già fissati a Parigi nel 2015, devono oggi mettere sul piatto della bilancia delle scelte fatte, e da intraprendere, per risolvere il conflitto ucraino-russo, anche questo elemento. L’impatto che le scelte possono avere sul processo di transizione alla crescita sostenibile.

L’impressione che ci siano forze economiche che spingano la sostenibilità ad un gioco di “push and pull”, è confermato dalla recente, e controversa, scelta della Commissione Europea di inserire gli investimenti in gas e nel nucleare nella richiamata tassonomia Ue delle attività sostenibili. Il conflitto bellico offre a tali forze retrograde un ulteriore campo d’azione per una inversione di marcia rispetto ad obiettivi che rappresentano la salvezza dell’umanità tutta.

I dati di mercato, ed alcune riflessioni politiche di questi giorni, confermano, purtroppo, tali timori.

 

I trend in discesa delle borse europee convivono, serenamente, con performance positive di molti titoli legati al settore degli armamenti, con conseguenti effetti di spiazzamento di tutti i fondi di investimento sostenibili che escludono tale settore dai loro portafogli.

L’intenzione manifestata da alcuni Paesi di aumentare la produzione di armi per raggiungere il livello minimo indicato dalla Nato, pari al 2% del PIL, contribuisce senza dubbio ad alimentare questo trend.

Così pure, la paventata ipotesi di un bond europeo che finanzi il settore degli armamenti; scenario, peraltro, in forte contraddizione con il Green Deal europeo.

Per altro verso, l’eventuale decisione di rinunciare alle fonti energetiche provenienti dalla Russia impone delle urgenze che distraggono dal disegno di riconversione industriale.  L’opzione sul tavolo di riaprire le centrali a carbone, anche se, ad oggi, potrebbe risultare in linea con la tassonomia Ue, porta con se un dato fattuale di una scelta che allontana dall’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2.

L’Europa si è impegnata ad un percorso virtuoso verso la sostenibilità; i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza sono ispirati alla crescita sostenibile; i fondi dedicati ed assegnati agli Stati membri devono essere rendicontati alla Commissione anche secondo criteri di sostenibilità. Per l’Italia, in particolare, circa 35 miliardi di tali fondi sono destinati alla transizione ecologica su cui il Ministro Cingolani è impegnato da mesi. Occorre riflettere per evitare che il processo di messa a terra del PNRR, già di per sè complesso ed articolato, possa trovare delle ulteriori frizioni.

Interpretare l’impatto delle sanzioni nell’ottica della sostenibilità deve essere un’imprescindibile base decisionale nel delicato scenario attuale. Lavorare con la “diplomazia preventiva” vorrebbe dire provare a risolvere due conflitti: quello in Ucraina, e quello planetario, da cui nessuno può sfuggire.

 

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