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L’anima Esg delle banche europee: chi vince tra autorità e mercato?
Ad oggi, la transizione sostenibile delle banche sembra motivata più da questioni di branding e da obblighi di compliance, piuttosto che da obiettivi di performance e di sostenibilità finanziaria.
Non vi sono chiare evidenze, infatti, di quanto i fattori ambientali (E), sociali (S) e di governance (G) possano impattare sulla redditività e sui rischi delle banche; su questo terreno il dibattito si muove, troppo spesso, su un piano ideologico o di policy.
Con l’articolo Banks and Envirnmental, Social and Governance Drivers: Follow the Market or the Authorities? , appena pubblicato insieme alle colleghe Ida C. Panetta e Sabrina Leo dell’Università di Roma La Sapienza, portiamo prime evidenze utili a banchieri e policy makers.
L’analisi, che ha avuto ad oggetto un campione composto da 43 banche, quotate sullo STOXX Europe 600, rappresentative di 14 Paesi europei, non rintraccia alcun effetto causale tra le performance ESG ed i tradizionali indicatori di redditività delle banche: ROA e ROE. In aggiunta, emerge una correlazione negativa con la performance di mercato, catturata nell’analisi dalle variabili Tobin’s Q e Capitalization/Book Value; mentre l’unica correlazione positiva è individuata tra fattori ESG e creazione di valore delle banche, misurata tramite l’EVA Spread.
In sostanza, dalle politiche ESG le banche non sembrano trarre, né miglioramenti di performance, né particolari apprezzamenti dal mercato; l’input delle autorità di puntare tutto sui rischi sembra, al momento, essere la determinante più convincente.
Un greening, dunque, quella delle banche, sospinto da pulsioni dicotomiche: da un lato, il desiderio di vestirsi di verde e seguire l’onda ambientalista ed inclusiva, dall’altro, il timore che dal business colorato di brown possano derivare rischi fino ad oggi sottostimati. Una sorta di amore e odio che poco sa di “sostenibilità in purezza” e che porta a dissociare ulteriormente la contabilità finanziaria da quella non finanziaria.
Eppure, dal nostro studio emerge uno spiraglio, valido anche per i banchieri più tradizionali: la correlazione positiva tra i fattori ESG e l’EVA spread apre una luce circa la capacità di produrre, implementando convinte strategie ESG, effetti sul piano della creazione di valore.
I terreni per future azioni, sono chiari: sul piano della ricerca, occorre produrre ulteriori evidenze, come pure avanzare sul terreno dei modelli di contabilità integrata che leghino le variabili finanziarie ai fattori ESG; sul piano della regolamentazione, occorre, tra l’altro, creare un quadro armonizzato di rating ESG e incentivare business models impact-oriented; sul piano del business, occorre migrare dal risk management a strategie e business model ESG-driven.
La transizione green delle banche non può essere relegata alla gestione del rischio; il codice dell’anima di una banca sostenibile non si costruisce sulla compliance ESG, ma germoglia naturalmente grazie a banchieri coraggiosi ed autorità lungimiranti: sarà questo a fare la differenza tra pochi anni, quando tutti ci ritroveremo ESG compliant, ma mercato e investitori premieranno solo i convinti della sostenibilità.
* Università di Roma La Sapienza
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