MALA DEBITA CURRUNT

Cosa Veramente Conta in Economia tra Spread e Fondamentali

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Parole di fiduciosa leggerezza si ascoltano ogni tanto anche in questi giorni quando si discute, o semplicemente si parla, di spread e di deficit/debito pubblico: lo spread dei rendimenti dei titoli italiani rispetto ai rendimenti dei bund tedeschi avrebbe importanza scarsa e passeggera; ciò che conta davvero sarebbero soltanto i “fondamentali” della nostra economia. Che, ovviamente, sarebbero buoni. Niente paura, dunque, ma animo e sguardo fermo: non servirebbe a molto preoccuparsi oltre misura dei mercati finanziari, del deficit e del debito pubblico, dell’aumento dei costi per interessi a carico del bilancio dello Stato.

Ma – chiediamoci – cosa sono i fondamentali dell’economia? E, soprattutto, c’è o non c’è un rapporto tra essi e lo spread? I (dati) fondamentali dell’economia riguardano i suoi aspetti più importanti. Tutti noi li abbiamo sotto gli occhi quotidianamente o quasi attraverso i diversi media: il prodotto interno lordo del nostro Paese (PIL), la produzione industriale, il tasso di occupazione – soprattutto, e tristemente, di disoccupazione – e tanto altro. Tra cui il deficit annuale del bilancio pubblico e il debito pubblico accumulato e che si accumula nel tempo. C’è qualcuno a cui sembra che abbiamo veramente registrato o stiamo registrando netti miglioramenti in questi campi? O che pensi che l’evolversi delle situazioni economiche e politiche a livello globale si stiano modificando e si modificheranno in modi tanto positivi per il nostro Paese da poterci disinteressare dello spread e del costo di un debito pubblico che cresce?

Più alti tassi d’interesse segnalati da uno spread più elevato hanno impatti sui fondamentali dell’economia e sulla vita di tutti noi. Non è necessario scomodare temi importanti come il debito pubblico: è esperienza comune di ogni famiglia che ha debiti verso una banca per un mutuo a tasso variabile o per un finanziamento ricevuto per sostenere i propri consumi. I maggiori costi per interessi riducono le risorse familiari che prima erano interamente destinate a consumi, a investimenti, a risparmi. Gli stessi effetti si hanno sulle imprese, sulle loro possibilità di investire, di creare nuova ricchezza, di destinarla anche a stipendi e salari di chi lavora in esse. Inoltre, più alti tassi d’interesse che scaturiscono dall’innalzamento dello spread sul debito pubblico vanno a sommarsi alla tendenza di fondo che vede i tassi d’interesse a livello globale puntare verso aumenti. Due impatti problematici per il nostro Paese, dunque, non solo uno: uno svantaggio in più per chi è debitore, che sia lo Stato, o le famiglie, o le imprese.

Ci saranno impatti problematici anche per le banche: non soltanto perché i loro investimenti in titoli a tassi fissi perdono di valore, ma per ragioni legate soprattutto ai costi della loro raccolta e all’inasprirsi dei rischi di dover fare fronte a minori capacità di rimborsi dei debiti bancari assunti da famiglie e da imprese finanziate. Con inevitabili effetti sia sui bilanci delle banche dovute alle maggiori perdite su crediti che potranno registrare, sia in termini di restrizioni che le banche potranno porre all’erogazione di nuovi – e in parte meno sicuri – crediti a famiglie e a imprese. Si può dire che non siano fondamentali anche le banche per il buon funzionamento dell’economia?

Saremmo tutti contenti – una vera grande festa – se non avessimo un debito pubblico così elevato (e se l’accumulo di deficit annuali anche a fronte di maggiori interessi non contribuisse ad aumentarlo ancora). Ma il debito c’è, e ne dobbiamo tenere conto. Le ragioni dovrebbero essere chiare a tutti: dobbiamo pagare interessi, dobbiamo augurarci che chi ha fiducia in noi e ci finanzia continui a farlo, nella stessa o in maggiore misura, almeno fino a quando non saremo in grado di ridurlo. E c’è di più: un debito (troppo) alto fa percepire rischi più elevati per gli investitori, che chiedono perciò rendimenti più alti. Non basta sostenere che i fondamentali sono positivi – tutti meno il debito naturalmente; né è utile dichiarare che non ci importa molto dello spread e degli investitori: quest’ultimi sono suscettibili, tendono facilmente a innervosirsi, chiedono maggiori remunerazioni. Come ogni creditore impaziente. Pagando di più ridurremo ancora le nostre disponibilità per finanziare investimenti pubblici e per migliorare, anche in questo modo, i nostri fondamentali dell’economia. Si può veramente dire che il debito pubblico, il suo aumento e il suo maggior costo non siano tra i fondamentali dell’economia e che possiamo non preoccuparci dello spread più di tanto?

Intervista audio al Prof. Tutino:

https://hearthis.at/good-in-finance/int-prof-tutino-spread-211118/