Il gioco di mezza estate 2018 è sicuramente il Push and Pull sulla manovra economica tra M5 Stelle e Lega, da una parte, ed il Ministro Tria, dall’altra; e non cambierà fino all’autunno, quando l’Italia dovrà confezionare il suo DEF (Documento di Economia e Finanza) e negoziarlo con la Commissione Europea: vedremo, allora, chi resterà con più corda nelle mani, o se la corda si spezzerà, come temono in molti.
Per il momento, nel Tria e Molla di queste crepuscolari settimane di mezza estate, si affrontano la squadra del “+3%” e la squadra del “-3%”; chiariamo – solo a beneficio di quei pochi che fossero riusciti a scampare una dilagante (preoccupante?) inondazione di educazione finanziaria – 3% del rapporto deficit/PIL.
La scelta di campo: a) +3% vuol dire tirare la corda per sforare il tetto imposto dalla Commissione Europea, ma a fin di bene; spendere di più per stimolare la crescita, la Commissione ce lo deve!; b) – 3% vuol dire tirare la corda per spendere, ma non troppo (il Ministro Tria sembrerebbe contento con un tetto al 2%), sempre a fin di bene, perché, in tal caso, si crescerebbe un po’, ma senza destabilizzare i mercati – già nervosetti di loro – e la Commissione Europea.
Alla fine sarà un gioco di equilibrio e la corda non si spezzerà; e poco cambierà se il punto di incontro sarà il 2% voluto dal Tesoro, il 2,5%, o financo “lo spettrale” 3%.
Il dato preoccupante di questo tira e molla, piuttosto, è che la corda si tira ma non c’è. Aspettiamo da decenni un disegno di politica economica, di politica industriale, un grado minimo di controllo sui movimenti dei mercati e sulle speculazioni. Se tutto ciò esiste, non si vede, che poi è lo stesso.
Può anche essere giunto il momento di mostrare “il pugno di ferro” in Europa, ma quando si decide di farlo occorre avere già indossato i guantoni; come diceva Warren Beatty in Il Paradiso Può Attendere: “ragazzi, dobbiamo andare in finale, ma quando ci arriviamo dobbiamo avere già vinto!”.
Tradotto in termini economici: occorre costruire, e andare a negoziare, il DEF assumendo precise scelte di politica industriale ed economica, e non rincorrendo singole misure, alcune delle quali anche condivisibili ma che, se decontestualizzate da un disegno di più alto respiro, rischiano di essere percepite dannose o populiste, e non solo dalla Commissione Europea. E’ il caso del reddito di cittadinanza (REC), misura inclusiva che può assumere connotati virtuosi se inserita in un pacchetto di politiche dell’occupazione che, però, non possono essere ricondotte alla sola riforma delle Agenzie per l’impiego. Agganciare il REC al microcredito è solo una delle possibili azioni percorribili. Ma è anche il caso dell’ormai noto “piano B” del Ministro Savona: in sostanza la proposta di stimolare investimenti di soggetti privati a copertura di quel gap di spesa non sostenibile direttamente dallo Stato. Perché confinare una tale proposta ad un piano B? Le forme di partenariato pubblico-privato sono, ormai, da qualche anno la ricetta di una nuova finanza pubblica in molti Paesi [si veda il recente Rapporto pubblicato dal Financial Times: https://www.gistltd.com/investing-for-global-impact-report]; dovremmo prenderne atto ed assumere questo orientamento come scelta fisiologica e strutturale, a prescindere dal dialogo con l’Europa. Da tempi non sospetti, auspichiamo una svolta in tal senso, andando oltre, e provando a sensibilizzare i policy makers verso quelle forme di partenariato dedicate ad investimenti ad impatto sociale ed ambientale, secondo schemi tipici del pay by result. Come membro della Taskforce G8 sugli Investimenti ad Impatto Sociale, ricordo che furono confezionati un Rapporto G8 ed un Rapporto nazionale con precise indicazioni, in tal senso, rivolte ai politici europei ed italiani: era il 2014, e dei diversi Governi che da allora si sono succeduti nel nostro Paese, nessuno ha ancora avuto la curiosità di andare a sbirciare tra le righe di quelle proposte. Neanche il successivo Rapporto OCSE ha fatto breccia. Eppure, quel piano B del Ministro Savona potrebbe essere convertito in un piano A ad impatto sociale ed ambientale; aiuterebbe anche ad innalzare i toni della negoziazione nel dialogo con la Commissione Europea: non più richieste di esclusione di singoli investimenti da parte di un singolo Paese (l’Italia) ma la definizione di una classe di “investimenti meritori” da tenere fuori dai parametri del fiscal compact, con valenza per tutti i Paesi dell’UE.
Tradotto in termini finanziari: occorre andare a negoziare il DEF avendo già chiare le contromosse sulle possibili reazioni delle borse e degli investitori. Fa bene il Governo a ribadire che i mercati non possono condizionare le scelte politiche – ed in effetti troppe volte negli ultimi anni abbiamo sperimentato un pericoloso signoraggio della finanza – ma al coraggio va abbinata l’astuzia e la sapienza. I mercati rischiano di vincere sempre: se l’economia va bene, ne traggono fisiologico vantaggio; se l’economia va male, ne traggono uguale vantaggio, azionando le leve della speculazione. Il motivo è semplice: gli investitori devono continuamente nutrirsi di opportunità di guadagno – un po’ come il leggendario Minotauro che aveva bisogno di nutrirsi di giovani vergini (sarà un caso ma tutta la storia parte dalla città di Tiro: un mitico Tiro e Molla? O Toro e Molla?) – e quando non ce ne sono se ne creano di artificiose. E’ quello che sta accadendo in queste settimane con la guerra dei dazi e le svalutazioni valutarie dei Paesi più deboli; è quello che, per altro verso, abbiamo toccato con mano nelle ultime aste dei nostri titoli di Stato. Con i Bund tedeschi a 5 anni che offrono, addirittura, rendimenti negativi – gli investitori sono chiamati a pagare allo Stato tedesco lo 0,27 per cento per assicurarseli come “beni rifugio” – quale migliore occasione di “stressare” il mercato italiano? Questo spiega l’eccesso di domanda per i nostri titoli e l’aumento dei tassi a cui sono stati collocati (3,25% per i BTP a 10 anni, 0,37% in più rispetto all’asta di luglio): gli investitori non percepiscono un alto rischio Paese (non avrebbero altrimenti acquistato titoli italiani) ma approfittano dello stato delle cose per lucrare sui tassi (costringendoci a pagare più interessi e penalizzando i nostri conti pubblici). Lo faranno fino a quando gli si presta il fianco e, comunque, non oltre un certo limite; logico, dunque, che le agenzie di rating non abbiano declassato l’Italia: è ancora troppo presto; ancora per un po’, e sicuramente per le prossime aste, saremo un serbatoio interessante per investimenti speculativi. Perché allora, mentre continuiamo ad insistere su una più equa condivisione dei rischi su base europea, non proviamo ad immaginare, contestualmente, una soluzione immediata per renderci meno dipendenti dai mercati? Per le prossime aste il Tesoro potrebbe lanciare un appello agli investitori residenti chiedendo: “Siete disposti ad investire in titoli italiani finalizzati ad investimenti nel welfare ricevendo interessi più bassi ma consentendo al Paese di portare avanti una battaglia in Europa in favore di una crescita inclusiva e sostenibile, senza preoccuparci troppo dello spread?”. Sarebbe un nuovo modello di bond pubblico social-impact oriented che potrebbe interessare anche investitori oltre confine orientati, per reputazione o per mission, ad investimenti alternativi; sarebbe un nuovo modello di solidarietà nazionale fondata sulle basi di una finanza innovativa e ad impatto sociale.
Nel Tria e Molla, insomma, non basta strizzare l’occhio all’elettorato ed alle promesse che gli sono state fatte – gesto sempre nobile e meritorio per un politico – ma occorre affinare le armi per negoziare con le Istituzioni e per guidare i mercati; programmare quando e come colpire, avendo cura a non farsi chiudere all’angolo, ma anche a non prestare il fianco per troppa spavalderia.
E’ un Tria e Molla difficile: per questo abbiamo bisogno di alta politica. Dobbiamo arrivare in finale ma senza fretta: un colpo dopo l’altro, come nel tennis, questa volta. Ma quando dovessimo arrivarci, dovremo avere già vinto.
Una interessante visione che stimola le nuove idee verso un costruttivo cambiamento che tenga però in dovuto conto mercati e investitori.
Il modello economico finanziario deve evolvere verso un benessere più diffuso rispetto al capitalismo privato e relazionale del passato in Italia. Questo articolo stimola riflessione per l’attuale maggioranza.
In effetti, quella indicata è una delle direzioni cui l’articolo mira. Grazie per aver condiviso.
Mlt
Sintetico, chiaro, illuminante e gradevole da leggere.
Resta il dubbio perché,nel Tria e molla di questi giorni, i protagonisti dal lato “molla” non pensino di documentarsi su quanto già disponibile come efficacemente descritto nell’articolo.
Il mio timore è che si passi dal “Tria e molla” a un “Tria che molla” a causa della vittoria del “+3%”. E allora sarebbero dolori.
Ed in effetti è un timore diffuso; ma credo che, in ultima istanza, si possa trovare un equilibrio. Certo maggiore curiosità intellettuale dei policy makers aiuterebbe.
Grazie per aver condiviso.
Mario
articolo molto informativo Mario. Viene chiaramente evidenziata la annosa e atavica incapacita’ di fare una programmazione seria e di respiro che lascia sempre piu’ spazio alle operazioni tampone o di pura facciata. E’ veramente giunto il tempo per una seria profonda e circostanziata riflessione (con annesso piano operativo) su come e dove vogliamo posizionare l’Italia per i prossimi anni. E’ un dovere che dovremmo sentire pressante per lasciare il Nostro Paese in condizioni decenti alle nuove generazioni.